In caso di batteriemia si può pensare di ridurre la durata della terapia antibiotica per via endovenosa passando dai tradizionali 14 giorni a 7 giorni, senza che questo implichi una riduzione dell’efficacia.
È quanto suggerisce uno studio controllato e randomizzato internazionale che ha coinvolto 3.608 pazienti ricoverati in 74 ospedali (nel 55% dei casi in terapia intensiva e nel restante 45% in reparto). In tre quarti dei casi l’infezione era stata acquisita in comunità, nel 13,4% durante il ricovero in reparto e nell’11,2% in terapia intensiva.
I partecipanti venivano assegnati alla classica terapia antibiotica per due settimane oppure a una terapia breve, di soli 7 giorni. In pratica quasi sempre sono stati rispettati questi tempi, anche se nel 23,1% dei pazienti in terapie breve si è prolungata la terapia oltre al previsto, come accaduto nel 10,7% di quelli trattati per due settimane. L’esito in studio era la mortalità a 90 giorni.
Il tasso di morte nei due gruppi a tre mesi è stato analogo (14,5% dei pazienti trattati per una settimana rispetto a 16,1% di quelli trattati per due settimane).
Si può accorciare la durata della terapia antibiotica?
In pratica
Poiché la comparsa di effetti collaterali e di resistenze batteriche è direttamente proporzionale alla durata del trattamento antibiotico posto in atto, in molti casi si sta provvedendo a una revisione della durata delle terapie antibiotiche definite dalle linee guida.
Questo studio è particolarmente rilevante perché propone la riduzione della durata del trattamento in una condizione clinica grave e potenzialmente letale, come la batteriemia, dimostrando la non inferiorità della terapia antibiotica breve rispetto a quella prolungata. Ovviamente non in tutti i casi è possibile limitare il trattamento a soli 7 giorni, per cui andrà fatta di volta in volta una valutazione clinica e microbiologica globale del paziente per decidere quale sia la durata ottimale della terapia, bilanciando efficacia e sicurezza.
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