Una maggiore collaborazione tra intensivisti e infettivologi può ridurre in modo significativo il consumo di antibiotici ad ampio spettro nelle unità di terapia intensiva pediatriche, senza compromettere gli esiti clinici.
Secondo quanto emerge da uno studio pre-post quasi sperimentale condotto presso l’Unità di terapia intensiva pediatrica dell’Ospedale di Padova, un programma di antimicrobial stewardship strutturato secondo un approccio handshake è in grado di ridurre in modo significativo il consumo di antibiotici.
Il programma, iniziato a partire da febbraio 2021, si basava su tre punti:
- aggiornamento e condivisione delle linee guida per la gestione delle infezioni in terapia intensiva
- presenza quotidiana in reparto degli infettivologi
- revisione condivisa di tutte le terapie antibiotiche in corso o da adottare.
Questo approccio favoriva un confronto clinico costruttivo tra specialisti in malattie infettive e intensivisti pediatrici, senza l’imposizione di regole o restrizioni.
Come è cambiato il consumo di antibiotici
Nel confronto tra il periodo pre intervento (gennaio 2019-gennaio 2021) e quello post intervento (febbraio 2021-dicembre 2022) si è avuta una riduzione significativa del consumo totale di antibiotici del 3% al mese (p<0,001). L’inversione di tendenza ha interessato in particolari alcuni antibiotici da preservare come:
- meropenem
- glicopeptidi
- piperacillina associata a tazobactam.
Non è invece variato in modo significativo il consumo delle cefalosporine di terza generazione e di amikacina.
A fronte di questo minor uso degli antibiotici non sono emersi esiti negativi per la salute dei piccoli ricoverati, né in termini di mortalità né della frequenza di batteriemie da microrganismi multiresistenti.