I probiotici sono riconosciuti come una classe di microrganismi che, somministrati con criterio e al giusto dosaggio, potrebbero avere effetti benefici in determinate condizioni. Tuttavia, il loro uso è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni e con esso l’idea diffusa che assumerli faccia genericamente bene alla salute e non possa fare male. Le cose, però, non sono così semplici.
Uno studio ha sollevato l’attenzione sulla sicurezza di questi prodotti di largo consumo e che non richiedono una ricetta medica, evidenziando che anche i probiotici possono essere associati a eventi avversi, seppur non gravi.
Uno studio per indagare la sicurezza dei probiotici
Il lavoro si basa sui dati del sistema statunitense di sorveglianza che raccoglie segnalazioni spontanee di eventi avversi legati a farmaci, dispositivi medici, integratori e prodotti biologici (per la differenza tra questi prodotti vedi il podcast Integratori alimentari: miti da sfatare)
I ricercatori hanno analizzato oltre 10 milioni di segnalazioni raccolte tra il 2004 e il 2023 nella banca dati statunitense, identificando così 74 segnalazioni associate all’uso di probiotici.
Le prime segnalazioni sono comparse nel 2005, con un andamento irregolare nel tempo, fino a raggiungere il picco massimo nel 2022 con 13 casi segnalati. Il problema, pur raro, quindi esiste.
Disturbi gastrointestinali ed epatobiliari, ma non solo
Anche se i numeri assoluti sono bassi, i risultati offrono spunti importanti:
- circa il 33% dei casi ha riguardato persone con più di 60 anni d’età
- nel 36% dei casi è stato necessario ricorrere a un ricovero ospedaliero.
Gli effetti avversi più frequenti sono stati:
- dolore gastrointestinale
- riduzione dell’appetito
- flatulenza
- disturbi del fegato e delle vie biliari.
Tutti sintomi coerenti con quelli già indicati nei foglietti illustrativi di alcuni di questi prodotti. Tuttavia, i ricercatori hanno anche identificato eventi avversi non previsti, tra cui disturbi psichiatrici come ansia e agitazione.
Un altro dato significativo è che il 67,57% delle segnalazioni proveniva direttamente dai consumatori e non dagli operatori sanitari che avevano seguito i pazienti.