Gli inibitori dell’aromatasi, usati nella terapia endocrina del tumore al seno, non causano problemi cognitivi, come era invece stato ipotizzato sulla base dell’impressione riferita da alcune donne in cura, secondo le quali una delle conseguenze negative della terapia su lungo periodo erano proprio le difficoltà cognitive.
Che cosa sono gli inibitori dell’aromatasi
Gli inibitori dell’aromatasi sono farmaci spesso impiegati nelle donne con un tumore al seno grazie alla loro azione endocrina: bloccano infatti un enzima, l’aromatasi appunto, che è fondamentale per la produzione degli estrogeni nell’organismo, in tal modo riducono gli ormoni femminili che tenderebbero invece a stimolare la crescita del tumore.
Sono farmaci di solito abbastanza ben tollerati, che hanno comunque effetti collaterali che possono indurre ad abbandonare la terapia come la nausea, le vampate di calore, la stanchezza, i dolori articolari. Alcune donne hanno segnalato anche una aumentata frequenza di problemi cognitivi.
Lo studio italiano
Per valutare se veramente questi farmaci possano interferire negativamente con le funzioni cognitive, uno studio multicentrico italiano ha valutato 77 donne con un tumore al seno in fase iniziale che sono state trattate per 12 mesi con un inibitore delle aromatasi.
Prima delle terapia è stata fatta una valutazione delle funzioni cognitive delle partecipanti, valutazione che è stata rifatta a distanza di un anno per vedere se ci fossero peggioramenti.
In effetti a distanza di un anno due donne su tre hanno riferito la sensazione soggettiva di avere difficoltà cognitive. Se però si valutava la situazione oggettivamente la loro performance neuropsicologica era sovrapponibile a quella precedente alla terapia, a significare che il farmaco non peggiorava le funzioni cognitive.
In realtà è emersa una differenza tra le donne che erano state trattate in passato anche con una chemioterapia e quelle che invece avevano usato solo la terapia endocrina: le prime infatti riferivano più spesso di avere problemi di memoria. Sembra quindi che sia la chemioterapia e non la terapia endocrina con inibitori dell’aromatasi a incidere sulle funzioni cognitive