Il fenomeno della resistenza agli antibiotici da parte dei batteri non riguarda solo l’uomo, ma anche gli animali e l’ambiente ed è per questo che la visione “One health” (cioè “una salute”) affronta questo problema come un tutt’uno in cui uomini, animali e ambiente costituiscono un terreno fertile per i batteri resistenti, con la possibilità di passaggio dall’uno all’altro.
Uno studio italiano condotto nella provincia di Lodi si è posto l’obiettivo di valutare quanto i gatti randagi possano essere portatori di batteri resistenti ai comuni antibiotici.
Un sistema di controllo sul territorio
Nella provincia lombarda c’è una sorta di anagrafe dei gatti randagi che ha consentito di registrare 1.770 gatti randagi appartenenti a 221 colonie feline. Protagonisti dello studio sono stati proprio questi gatti, di cui sono state raccolte e analizzate le feci per vedere se albergavano ceppi di Escherichia coli (un batterio intestinale che causa malattie nell’uomo) resistenti agli antibiotici. Ebbene quasi 100 gatti (il 5,3% del campione) avevano nelle feci l’Escherichia coli resistente agli antibiotici. Come ci si poteva attendere, nella maggior parte dei casi si trattava di gatti con problemi di salute, ma anche alcuni animali del tutto sani avevano nelle feci i batteri resistenti. Batteri che diffusi nell’ambiente avrebbero poi potuto causare malattie nell’uomo difficili da trattare per la resistenza ai comuni antibiotici.