Gli studi clinici che valutano l’efficacia e la sicurezza dei nuovi farmaci contro i tumori (i cosiddetti trial), nella maggior parte dei casi valutano esiti poco rilevanti per il malato. La ricerca dovrebbe quindi mutare i propri obiettivi ponendo al centro il malato e le sue esigenze.
I trial clinici
Prima che un farmaco venga approvato e quindi immesso in commercio deve essere sottoposto a una serie di sperimentazioni che seguono varie fasi (vedi al riguardo la videoclip “Come nasce un farmaco: dalla molecola al mercato“). In particolare la fase 3 di uno studio coinvolge un numero adeguato di pazienti con la malattia, in questo caso con un tumore, per capire se la somministrazione del farmaco sia davvero efficace rispetto alle cure già esistenti e non riveli d’altra parte effetti avversi troppo frequenti o gravi.
I ricercatori nel disegno dello studio devono definire anticipatamente quali sono gli esiti che valuteranno per considerare il farmaco efficace e sicuro. Ebbene la fase di definizione di questi esiti è più importante di quanto si possa immaginare perché spesso non tiene conto di ciò che è realmente utile per il malato.
Gli esiti surrogati
Nel campo dei tumori quali sono gli esiti che si dovrebbero valutare in uno studio che analizza un farmaco perché siano rilevanti per i malati? Oltre al fatto di non arrecare più danni che benefici, sono almeno due per quanto riguarda l’efficacia:
- se il farmaco allunga la sopravvivenza rispetto alla somministrazione di un altro trattamento già disponibile e sicuro
- se il farmaco migliora la qualità di vita del malato.
Affrontare una terapia pesante, con effetti avversi, per non avere una vita più lunga o almeno una qualità di vita migliore avrebbe infatti poco senso.
Eppure nella maggior parte degli studi clinici che valutano i farmaci oncologici non vengono considerati sempre questi due aspetti, ma più spesso un esito che è indubbiamente meno importante per il malato: la sopravvivenza libera da malattia, cioè il tempo trascorso senza che ricompaia il tumore. Questo tipo di esito si chiama “esito surrogato” perché presuppone che a ciò corrisponda anche automaticamente un allungamento della sopravvivenza globale. Ma purtroppo non sempre è così: è dimostrato infatti che in molti casi all’efficacia di un farmaco sulla sopravvivenza libera da malattia non corrisponde un’efficacia nell’allungare la vita o nel migliorarne la qualità.
Lo studio americano
Uno studio condotto oltreoceano conferma questo fatto e stimola a ripensare la ricerca in ambito oncologico. I ricercatori hanno analizzato quasi 800 studi che avevano coinvolto oltre mezzo milione di persone con un tumore. Ebbene, solo in un quarto dei casi veniva dimostrato che il farmaco in esame allungava la vita e solo nell’11% dei casi comportava un miglioramento della qualità della vita, parametro quest’ultimo che veniva preso in considerazione solo in un terzo degli studi, nonostante sia fondamentale per la persona che accetta il trattamento. Nella gran parte dei casi l’efficacia del farmaco era invece dimostrata soltanto sulla sopravvivenza libera da malattia.