La decisione di iniziare una chemioterapia durante la gravidanza per la cura di un tumore non pone il feto particolarmente a rischio.
La gestione del cancro in gravidanza impone il bilanciamento tra la necessità di trattare la neoplasia materna e la tutela del feto. La tendenza, se possibile, è quella di ritardare la chemioterapia fino al post partum, ricorrendo a un parto programmato anticipato di qualche settimana. In alcuni casi, però, l’inizio della chemioterapia non è procrastinabile ed è analizzando questi che uno studio di coorte condotto in Canada ha valutato l’associazione tra l’esposizione prenatale alla chemioterapia e tre esiti: morbilità e mortalità neonatale (breve termine), disturbi del neurosviluppo e condizioni croniche pediatriche complesse (lungo termine).
Su 1.150 donne con tumore in gravidanza, 142 (12,3%) sono state trattate con una chemioterapia nel secondo o terzo trimestre di gestazione. Tra queste si è osservato in effetti un aumento del rischio di morbilità grave e mortalità neonatale (rischio relativo 1,67, limiti di confidenza al 95%, da 1,13 a 2,46). Tuttavia, l’incremento del rischio di morbilità e mortalità neonatale non sembra direttamente attribuibile alla chemioterapia, ma al parto pretermine, principale fattore determinante delle complicanze neonatali. Sul lungo periodo non è emersa alcuna associazione significativa con i disturbi del neurosviluppo (hazard ratio 0,93) o con condizioni croniche pediatriche complesse (hazard ratio 0,96).
In pratica
La chemioterapia in gravidanza somministrata nel secondo o terzo trimestre sembra sicura per il feto, occorre tuttavia sempre un’attenta valutazione del rapporto rischi/benefici per la madre e il bambino, tenendo presente che anticipare la data del parto non è in molti casi la scelta ottimale per madre e bambino, visto che il parto pretermine si associa più spesso a esiti neonatali negativi.
Bibliografia
