La deprescrizione, la diminuzione o sospensione mirata dei farmaci assunti cronicamente, è un’opportunità per migliorare la sicurezza dei pazienti e la qualità delle cure, riducendo la polifarmacoterapia e l’uso di farmaci potenzialmente inappropriati, spesso associati a eventi avversi.
Se sulla carta il concetto è semplice, la sua applicazione nella pratica clinica è complessa, specialmente tra gli anziani che vivono a casa e che sono generalmente più autonomi nella gestione delle terapie rispetto a quelli ospedalizzati o assistiti in strutture di lungodegenza.
Un gruppo di ricercatori statunitensi si è quindi chiesto se gli interventi di deprescrizione riducano davvero il numero totale di farmaci, in particolare quelli potenzialmente inappropriati, tra gli anziani che vivono al domicilio.
Uno studio per valutare i benefici della deprescrizione
Per rispondere a questa domanda è stata condotta una revisione sistematica con metanalisi che ha incluso 17 studi pubblicati tra il 2019 e il 2024.
Chi ha partecipato ai programmi di deprescrizione ha assunto, in media, 0,14 farmaci in meno rispetto al gruppo di confronto, un risultato statisticamente significativo anche se di entità modesta (limiti di confidenza al 95% da −0,27 a −0,01).
La deprescrizione non consentiva invece una riduzione significativa della percentuale di anziani che faceva uso di almeno un farmaco potenzialmente inappropriato (odds ratio 0,92, limiti di confidenza al 95% da 0,74 a 1,14).
In altre parole, i programmi di deprescrizione sembrano ridurre lievemente il numero complessivo di farmaci assunti, ma il loro impatto sull’appropriatezza terapeutica resta incerto.