Non è detto che l’approccio più invasivo sia quello che offre i migliori risultati e questo principio vale anche in campo oncologico.
Ogni persona con tumore fa una storia a sé e la terapia dovrebbe essere ritagliata su misura rispetto alla situazione clinica, alle aspettative e alle condizioni di vita.
Se il diffondersi dello screening e della diagnosi precoce dei tumori consente sempre più spesso di riconoscere la presenza del tumore in fasi molto iniziali, tali per cui si possono mettere in atto da subito terapie efficaci e in molti casi risolutive, purtroppo a volte si scopre la presenza di un tumore quando è già in fase avanzata, quando le opportunità di un trattamento efficace sono minori. In questi casi è fondamentale considerare sia la possibilità di contenere la progressione della malattia sia di consentire una buona qualità di vita.
Solo la chemioterapia o anche il bisturi?
Un gruppo di oncologi giapponesi ha condotto uno studio controllato e randomizzato che ha coinvolto oltre 400 donne con un tumore al seno che è stato diagnosticato in fase già avanzata, quando cioè il tumore si era diffuso non solo localmente ma anche a distanza in altri organi (metastasi). La scelta di cura in questi casi prevede sempre il ricorso alla chemioterapia con l’intento di agire su tutte le sedi di malattia per controllarne la progressione. Si discute invece se sia opportuno essere più invasivi e proporre cioè di asportare anche chirurgicamente il tumore, come viene fatto quando la malattia viene diagnosticata in fase precoce.
I risultati della ricerca giapponese indicano che in questa situazione l’aggiunta dell’intervento chirurgico alla terapia con farmaci non allunga la sopravvivenza globale. La chemioterapia svolge la sua azione e l’aggiunta del bisturi comporta solo per la donna il fastidio e le conseguenze di un intervento chirurgico.



