Per troppo tempo le donne in gravidanza e in allattamento sono rimaste ai margini della ricerca, escluse a priori dagli studi clinici o allontanate in caso di gravidanza durante una sperimentazione. Il motivo? Principalmente il timore di eventi avversi a carico della mamma, del feto o del neonato.
Questo approccio, basato sul principio di cautela e pensato quindi per proteggere, ha però prodotto un vuoto informativo, privando le donne di trattamenti potenzialmente utili, ma anche gli operatori sanitari dei dati necessari per decidere se somministrare o meno un farmaco in momenti così importanti della vita di una donna.
Il paradosso dei numeri
Nonostante le cautele dimostrate dal mondo della ricerca, in realtà fino al 90% delle donne assume farmaci durante la gravidanza o l’allattamento, spesso senza disporre di informazioni adeguate sulla loro efficacia e sicurezza. Per oltre il 70% dei medicinali in commercio, infatti, mancano dati relativi all’uso in queste condizioni.
E la ricerca, come detto, non aiuta: meno dello 0,4% degli studi clinici attivi nell’Unione Europea coinvolge per esempio donne in gravidanza, una percentuale che scende allo 0,1% se si considerano le donne che allattano.
Le conseguenze sono concrete: terapie inappropriate, rischi sottovalutati o sovrastimati e soprattutto donne private di trattamenti di cui potrebbero beneficiare. La questione non è da poco, considerato anche il fatto che molte gravidanze non sono pianificate e tante donne scoprono di essere incinta mentre stanno già prendendo farmaci per qualche disturbo, senza sapere poi se devono interromperlo o meno. Ma la situazione sembra a una svolta.
Il cambio di rotta
Il 4 giugno 2025 l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha pubblicato sull’argomento una nuova linea guida, attualmente in consultazione pubblica. Il documento invita le aziende farmaceutiche a includere le donne in gravidanza e in allattamento negli studi clinici ogni volta che il farmaco è destinato anche a persone in età fertile. La guida promuove la progettazione di studi clinici inclusivi e apre al confronto diretto con le autorità regolatorie, a garanzia della sicurezza e dell’efficacia dei trattamenti in queste popolazioni.
L’intento è colmare un vuoto informativo che dura da decenni, raccogliendo dati solidi e affidabili per supportare decisioni terapeutiche basate sulle prove anche per le donne in gravidanza e in allattamento, troppo a lungo penalizzate da un approccio meramente prudenziale.