Sembra fantascienza ma fa capire che le ricerche sui farmaci non sono mirate solo a scoprire e realizzare nuove molecole attive contro le varie malattie ma si concentrano anche sulle modalità di somministrazione dei farmaci: un gruppo di scienziati statunitensi ha infatti creato un microrobot definito bioibrido (in quanto sfrutta un’alga) per rilasciare i farmaci, nel caso specifico gli antibiotici, nelle vie respiratorie.
Com’è fatto il microrobot bioibrido?
Il corpo “vivo” del microrobot è costituito da un’alga verde microscopica, Micromonas pusilla, che ha la caratteristica di potersi muovere grazie a una sorta di coda, in maniera analoga a quanto fanno gli spermatozoi. Date le sue piccole dimensioni (attorno a 1-1,5 micron di diametro) quest’alga può essere incapsulata nelle particelle di aerosol (che hanno un diametro inferiore ai 10 micron). A queste nanoparticelle può essere aggiunta la molecola del farmaco che si vuole somministrare, per esempio un antibiotico. Attraverso un tradizionale aerosol un numero adeguato di questi microrobot così costruiti possono essere inalati, raggiungendo così i polmoni. La differenza rispetto a quanto accade con un aerosol tradizionale è che l’alga robot mantiene la sua mobilità per diversi giorni per cui giunta nei bronchi e nei polmoni riesce a evitare l’attività dei macrofagi, cellule difensive che normalmente inglobano ed eliminano le particelle che giungono dall’esterno.
L’esperimento che ha funzionato
Questi microrobot, coniugati alla vancomicina, un antibiotico usato già da molto tempo, sono stati inalati da topi che avevano una polmonite causata da uno stafilococco resistente ai più comuni antibiotici. Ebbene, non solo i microrobot si sono diffusi in maniera omogenea nei polmoni, ma sono sopravvissuti cinque giorni, consentendo al farmaco di svolgere la sua azione eliminando l’infezione batterica e guarendo così l’animale.
Secondo gli autori dello studio questa sarebbe la prova che la nuova modalità di somministrazione di un farmaco attraverso microrobot bioibridi potrebbe essere sperimentata anche nell’uomo, con la prospettiva di un’efficacia maggiore del farmaco, che arriva direttamente nella sede voluta e in maniera protetta, e di una riduzione degli effetti avversi.