Oltre un terzo dei batteri che causano infezioni nelle persone ricoverate in ospedale è resistente agli antibiotici, rendendo difficili le cure e la guarigione nei casi più gravi.
L’allarme lanciato dall’OMS sull’importanza di contenere la diffusione della resistenza agli antibiotici per evitare di arrivare alla stima prevista per il 2050 di 10 milioni di morti all’anno al mondo a causa di malattie causate da batteri resistenti agli antibiotici è quanto mai pressante e si basa su dati reali che indicano il costante aumento dei casi di resistenza.
La situazione negli ospedali
Molte delle infezioni da batteri resistenti a uno o più antibiotici si verificano in ospedale e per questo è importante avere un quadro globale della situazione nelle varie geografiche del mondo. A tal fine è stata condotta una revisione sistematica con metanalisi che ha messo insieme i dati di 34 studi pubblicati nella letteratura scientifica relativi a oltre 20.000 pazienti ricoverati in 18 Paesi. Purtroppo non tutte le aree geografiche sono state coperte per mancanza di dati e tra queste alcune nelle quali la diffusione dei batteri resistenti è sicuramente alta, come l’Africa, il Medioriente, la Russia e l’India.
I risultati della ricerca non lasciano spazio a dubbi sulla criticità della situazione e sulla necessità di porvi rimedio: il 36% dei batteri isolati in ospedale sono risultati resistenti agli antibiotici. A dimostrazione della difficoltà di curare le infezioni dovute a questi germi sta l’alta mortalità: chi era colpito da un’infezione dovuta a un batterio resistente agli antibiotici aveva una probabilità del 64% maggiore di morire a causa della malattia rispetto a chi aveva un’infezione da germi sensibili agli antibiotici (al riguardo leggi anche l’articolo Il contributo dell’antimicrobico resistenza alle morti in ospedale).
Che cosa si può fare
In ambito ospedaliero occorre incentivare politiche di antimicrobial stewardship cioè di gestione oculata e uso appropriato degli antibiotici. Il primo passo è rispettare quanto stabilito dal sistema AWaRE definito dall’OMS, che suddivide gli antibiotici in tre fasce da usare progressivamente in modo da evitare di prescrivere in prima battuta antibiotici ad ampio spettro (quindi meno selettivi), mirare il trattamento e preservare alcune classi di antibiotici riservandole solo ai casi più gravi.
Interventi di questo tipo condotti in ospedale hanno già dimostrato la loro efficacia (al riguardo leggi anche l’articolo I successi della gestione appropriata degli antibiotici).